5 anni fa ho fatto una cosa che non avevo mai fatto prima: ho seguito la costruzione della mia casa attuale, dallo stato definito al grezzo (solo i muri) fino alla sua resa abitabile.
Avevo un’idea di quello che doveva essere il risultato finale, ma non avevo nessuna idea di quanto il risultato finale fosse la somma di tanti passaggi intermedi di cui non avevo mai sentito parlare. La cosa più difficile era proprio compiere scelte riguardo a questi, perchè in un modo o nell’altro avrebbero influenzato il risultato ma non potevo sapere esattamente come.
Ho imparato una lezione importante: conoscere il punto di arrivo non significa essere in grado di organizzare le parti intermedie. Come in quei giochi enigmistici in cui da una parola devi passare, cambiando via via una lettera alla volta, ad un’ altra, così in un testo è necessario progettare le fasi intermedie, in modo che si leghino l’una all’altra per portare il lettore esattamente dove deve arrivare per cogliere il messaggio.
Proprio come per una casa, le parti intermedie di un testo vanno progettate, quindi, sia singolarmente che nella loro complessità.
Per lavorare su questo ho fatto un esperimento: ho provato ad applicare alla scrittura (attenzione: qui parlo di business writing, non scrittura narrativa) 5 principi del design individuati da Donald Norman, uno dei più importanti ricercatori nel campo dell’interazione uomo-macchina e del design centrato sull’utente, quello della Caffettiera del masochista, per intenderci!
Questi principi partono dal presupposto che tra il soggetto e l’oggetto ci sia una possibilità di relazione (proprio come avviene l’interazione tra lettore e testo) e che alla base di un progetto efficace c’è un modello concettuale che assicura la coerenza di ogni parte di esso.
La fase di progettazione è indispensabile perché rappresenta un momento di riflessione sulle idee generate, e quindi un momento di verifica, di approfondimento e di sviluppo delle idee stesse. Organizzando le idee, si è costretti a valutarne la coerenza e l’opportunità
(S. Nobili, Il lavoro della scrittura. Analisi e retorica del testo, Milano, Sansoni, 1999.)
I principi del design secondo Norman sono affordance, constraints, feedback, mapping, consistency.
Inizialmente, nella prima idea di questo articolo, li volevo esaminare tutti insieme, perchè mi piaceva l’idea di poter realizzare, al termine, una sorta di check list da usare ogni volta che si progetta prima e si rivede poi, un testo o un insieme di testi (come per un sito ad esempio), poi però, concentrandomi su ciascuno sono rimasta affascinata dalla complessità e dai rimandi che possono evocare e così ho deciso di fermarmi su alcuni e lavorare in verticale anziché in orizzontale. E così ho modificato il progetto di scrittura 🙂
Iniziamo con affordance.
L’affordance è la relazione tra le proprietà di un oggetto e la capacità dell’utente di riconoscere immediatamente come l’oggetto deve essere usato. Una normale sedia, ad esempio, ha un alto livello di affordance. Dal punto di vista della progettazione implica lavorare in modo che l’utente percepisca quell’elemento come significativo, come portatore di un risultato desiderato (banalmente: voglio sedermi, vedo la sedia, mi siedo).
Lato scrittura (professionale, aziendale, istituzionale) progettiamo secondo affordance quando offriamo al lettore ciò che cerca: testi che mantengono quello che promettono nel titolo, microtesti (pulsanti, link) che indicano chiaramente dove porteranno il lettore, contenuti in grado di rispondere alle necessità che il lettore/utente ha quando arriva in un certo punto del sito, del testo, del libro. Questo significa avere presente CHI leggerà ciò che stiamo progettando: solo conoscendo il mio lettore posso fornire indicazioni che siano comprensibili, perché , come scrive Umberto Eco: “Generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui.”
“Per organizzare la propria strategia testuale un autore deve riferirsi a una serie di competenze (espressione più vasta che “conoscenza di codici”) che conferiscano contenuto alle espressioni che usa. Egli deve assumere che l’insieme di competenze a cui si riferisce sia lo stesso a cui si riferisce il proprio lettore. Pertanto prevederà un Lettore Modello capace di cooperare all’attualizzazione testuale come egli, l’autore, pensava, e di muoversi interpretativamente così
come egli si è mosso generativamente.” (U.Eco, Lector in fabula).
Dal lettore modello alle user personas: in fase progettuale devo chiarire le possibilità di interazione del mio lettore/user, ricercando, analizzandone e definendone gli strumenti interpretativi.
- L’argomento che tratto è conosciuto dal mio lettore?
- Quali parole egli usa per riferirsi a quell’argomento?
- Quali termini/processi vanno spiegati?
- Quali possono generare ambiguità?
- Quali termini non devo/posso usare?
- Quali metafore possono essere utili per far entrare il lettore nel testo?
- Quali conoscenze non posso dare per scontate?
- Che struttura (anche visiva) devo dare al testo perché possa facilitare la relazione?
“Il senso di un testo è l’esito di una collaborazione tra testo e lettore e risiede perciò nella tensione che si stabilisce tra i due“. (Valentina Pisanty, From the model reader to the limits of interpretation).
Prima di costruire il testo, pensiamo quindi a come rendere possibile la relazione: il progetto parte da qui.