Lo ammetto pubblicamente: anche io ho letto per la prima volta Frammenti di un discorso amoroso di Roland Barthes nei deliqui della delusione amorosa, cercandovi quel “perchè” che il lui in questione non sapeva darmi. Mi avevano sedotto le parole di Pier Vittorio Tondelli nella quarta di copertina: “Roland Barthes vi darà uno specchio bellissimo per riflettere, pensare, decidere, paragonare la vostra storia a quella di Werther o a un haiku giapponese; vi darà un respiro più ampio in cui emettere il vostro rantolo (…).” E io di rantoli, in quel periodo, ne emettevo parecchi.
Qui non voglio parlare nè di quella vecchia storia nè del libro in sè, ma portare alcune suggestioni narrative che mi ha donato nelle successive riletture (a mente e cuore più freschi) e vorrei che fossero comprensibili e utilizzabili anche da chi il libro non l’ha letto e non conosce l’autore.

Barthes chiarisce nell’incipit che per Frammenti di un discorso amoroso ha utilizzato un metodo “drammatico”: non descrizione ma simulazione dell’azione, non descrive l’innamorato, ma è l’innamorato stesso che parla. E parla tramite dei frammenti, perchè, del resto, questo non è un discorso sull’amore, ma dell’innamorato e rispetta la discontinuità e la frammentarietà del linguaggio dell’innamorato.
Prima cosa interessante: la struttura del testo non rispecchia l’oggetto, ma il soggetto. Questo suggerimento ci dà una grande libertà: quella di non essere condizionati da ciò su cui si scrive, ma avere la possibilità di scriverne in funzione di chi ne parla. Questo vale, in particolare, per argomenti che di solito impongono se  stessi come oggetto e soggetto delle narrazioni. L’ambito legale e quello medicale, per esempio: parlando di legge, in genere, ci si conforma alla rigidità e normatività dell’argomento, ma un ribaltamento di questa abitudine formale potrebbe portare interessanti sperimentazioni. Tagliamo i fili e mischiamo i colori: proviamo a descrivere uno studio dentistico prendendo strutture e termini da un artigiano della ceramica. Un’azienda di moda potrebbe provare l’ebbrezza della nomenclatura legale per descrivere tendenze e nuovi stili. E viceversa, ovviamente.

Torniamo a Barthes: il discorso amoroso non procede con un percorso unitario, ma è ritagliato in frammenti, ogni frammento è un argomento cioè “esposizione, racconto, sommario, piccolo dramma, storia inventata”. Si sviluppa come una rubrica in ordine alfabetico: così ABBRACCIO viene prima di INCONTRO, GELOSIA viene dopo DRAMMA. Non consequenziale, non narrativo, non di significato. L’ordine è alfabetico, quindi apparentemente neutro, paritario. L’ordine alfabetico è quello degli appelli a scuola, del politicamente corretto, quello di quando non si vuole fare torto a nessuno.  Davvero, però, un ordine può essere completamente neutro? Fai un esperimento: suddividi un tuo testo in argomenti, frammenti unitari (ciascuno deve essere autoconcludente), poi mettili in ordine alfabetico. Quali nuovi significati e possibilità di sviluppo ottieni?
Questi accostamenti alfabetici possono creare quelle che Gianni Rodari descrive come “interferenze capricciose” tra le quali “si fa luce una parentela imprevedibile tra parole che appartengono a catene differenti.” E  “non si tratterà di una fantasticheria  evasiva bensì di un modo di riscoprire e rappresentare in forme nuove la realtà“.

Ogni capitolo del discorso amoroso è composto da un titolo che nomina l’argomento, una definizione introduttiva all’argomento, uno  svolgimento in macroblocchi di testo, quasi come fosse una scaletta “esplosa”, più che un capitolo/argomento completo. Leggendo ogni argomento sembra di guardare contemporaneamente un edificio finito e le sue impalcature. Mi ricorda la struttura “scheletro a vista” del Centre Pompidou a Parigi: gli elementi strutturali, solitamente tenuti nascosti (tubi, pilastri, nodi di sezione) sono dipinti in colori vivaci e trasformati in elementi estetici primari e caretterizzanti l’edificio. Questo può essere un altro stimolo interessante: metti in vista le putrelle, dai risalto alle travi portanti del tuo pensiero, non nasconderle sotto frasi troppo lunghe o ragionamenti complessi. Fai vedere il retrobottega, insomma (ma prima togli la polvere e dai una spazzata,  tutto a vista non significa sciatto!)

Un ulteriore elemento della struttura narrativa del Discorso sono i riferimenti, richiami di lettura, come li definisce lo stesso Barthes: accanto a ogni paragrafo, sta un nome. Spiega Barthes. “Per comporre qusto soggetto amoroso sono stati “montati” dei pezzi di origine diversa. Ve ne sono alcuni che derivano da una lettura regolare, quella del Werther di Goethe. Ve ne sono che derivano da letture insistenti (il Simposio di Platone, lo Zen, la psicanalisi, certi mistici, Nietszche, i Lieder tedeschi). Ve ne sono che derivano da letture occasionali e altri che derivano da conversazioni con amici. E infine vi è ciò che deriva dalla mia propria vita.” (…) “I riferimenti forniti non sono dati d’autorità, ma a titolo di amicizia: io non invoco delle garanzie ma semplicemente ricordo, con un cenno fatto di sfuggita, ciò che per un istante ha sedotto, convinto o che per un istante ha dato il piacere di capire (…).” E qui suggerisco un doppio lavoro, di introspezione e di ricerca: prima di tutto guardare ai nostri testi cercando i riferimenti impliciti, per diventarne cosapevoli e amplificarli, se lo meritano, dandogli spazio, lasciandosi portare dalla loro voce. O, al contrario, eliminare tutto quello che appiattisce il testo, come succede tutte le volte che usiamo plastismi: clichè e luoghi comuni che entrano nella scrittura senza che ce ne accorgiamo. Come distinguere gli uni dagli altri? I riferimenti generativi sono quelli che danno spessore al testo, lo rendono multidimensionale, possono nutrire il lettore. Rendono il testo croccante come una brioche “sfogliata”: quando la mordi senti tutte le incespature della pasta sfoglia sciogliersi in un unico burroso sospiro. Possono essere una metafora ben costruita che porta il lettore in un altro mondo, una parola poco conosciuta ma densa, un riferimento a un autore, a una poesia, a un film. I plastisimi sono, invece, brioche surgelate, riscaldate nel microonde: ti ingannano a prima vista, ma appena le mordi sai già che ti resteranno sullo stomaco fino a mezzogiorno, insieme a un patina untuosa sulla lingua.  Uso le parole di Barthes: “Una volta, parlando di noi, l’altro mi ha detto: “una relazione di qualità”; questa parola non mi è piaciuta: essa scaturiva bruscamente dal di fuori, banalizzando la specialità del rapporto con una formula conformista“.

Riferimenti:
Barthes, Roland, Frammenti di un discorso, Einaudi, Torino, 2001
– Variazioni sulla scrittura seguite da Il piacere del testo a cura di Carlo Ossola, Einaudi, Torino, 1977
Il grado zero della scrittura, Einaudi, Torino, 2003
Rodari, Gianni, Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino, 1997